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Laura Alfisi

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Le parole per dirlo

di Laura Alfisi – Volontaria La Voce per Eco ETS

Ridottǝ al silenzio: la privazione della parola[1] nelle relazioni d’abuso narcisistico

“…dentro la bocca stringevi parole, troppo gelate per sciogliersi al sole.”

Trovo commovente questo verso de La guerra di Piero di De Andrè: in undici parole senti la violenza della morte che toglie la parola. Da linguista, credo che nella parola risieda il potere e che, per privare un individuo del potere di autodeterminarsi, si cominci proprio dal privarlo della parola.

In una relazione di sostanziale squilibrio di potere come quella con un soggetto con tratti narcisistici marcati o con un disturbo narcisistico di personalità, l’abuso passa anche da una forma di privazione della parola. Alla vittima non viene esplicitamente imposto il silenzio (o non sempre): ne viene erosa la capacità di “trovare le parole”, di formulare le frasi per dire. Dire al partner cosa prova, cosa pensa, cosa desidera; dire a se stessa (e agli altri) ciò che sta accadendo, in che modo il racconto dell’abuso subìto sembra sgretolarsi in bocca e sfuggire ad ogni tentativo di descrizione coerente e comprensibile.

Questo graduale ammutolirsi della vittima è come una dislalìa straziante che lascia campo libero al narcisista, il quale ridefinisce la realtà imponendo la propria narrativa. Quando il narcisista, dopo l’adescamento e il love bombing iniziale, passa alla fase di svalutazione, mette in atto una serie di tattiche mirate a disorientare e sfiancare la vittima rendendola persino incapace di argomentare o esprimere il proprio pensiero[2].

Spiegare l’abuso della parola è un’impresa non da poco perché si tratta di decifrare l’indecifrabile, trovare un senso ed una logica ad una prevaricazione che si nutre di nonsenso e illogicità.

La fase di svalutazione del ciclo di abuso narcisistico non consiste, come parrebbe suggerire il termine, solamente nello svilimento di quegli stessi tratti fisici o caratteriali della vittima che durante la fase di love bombing erano invece celebrati come attraenti, straordinari, che la rendevano speciale. È una sistematica erosione della capacità di espressione di sé, di decifrazione dei fatti, di reazione all’abuso. È mozzare la lingua senza pietà.

Lo svilimento, le critiche pungenti, gli insulti gratuiti, le sfuriate, le plateali mancanze di rispetto sono solo un preludio ad una violenza crudelmente subdola. Perché nel momento in cui ti ritrovi feritǝ e allibitǝ, sconcertatǝ e incredulǝ (“come può, lǝi che mi ama sopra ogni altra cosa, “improvvisamente” ferirmi così?”), logicamente cerchi una spiegazione, chiedi un chiarimento, desideri una riconciliazione e magari anche delle scuse, di modo che tutto ritorni come durante la luna di miele. E questo è il momento tanto atteso dal narcisista: quello in cui si aprono le danze infernali della manipolazione più perversa.

Il narcisista conta sull’illusione della vittima che, in piena dipendenza biochimica, tende a voler credere di confrontarsi con un interlocutore socialmente funzionale o quanto meno redimibile, e che il dialogo sia basato sul mutuo rispetto e sulla sincerità. La sua intenzione, in realtà, non sarà mai di risolvere il confronto ma di esacerbarlo e renderlo sterile. Nel momento in cui sembra aprirsi uno spiraglio per un dialogo, la sorpresa è amara, sconcertante. Peraltro la vittima è già emotivamente provata perché la tanto attesa conversazione arriva dopo giorni di richieste che si sono infrante contro il muro del “ho cose più importanti a cui pensare”. Al dolore dell’abuso subìto si aggiunge il vedersi le proprie istanze delegittimate e sminuite a capricci inopportuni: “E tu mi vieni a rompere l’anima alla fine di una giornata infernale con le tue idiozie? Stai ancora a pensare a quello che è successo dieci giorni fa?”

Nel momento in cui riesci finalmente ad avere udienza, nulla ti può preparare allo shock del primo incontro con la famigerata insalata di parole del narcisista: indigesta quanto irrilevante, condita con aggressività crescente ed elocuzione forsennata, impossibile da interrompere. Nel caso dei narcisisti non sempre è sconnessa e illogica (come nel caso dei soggetti schizofrenici), ma è ugualmente disorientante. È anche piuttosto difficile da riprodurre. Una versione soft può suonare approssimativamente così:

“E di che cosa mi stai accusando, sentiamo? Ma pensa te se dopo una giornata di lavoro, perché io lavoro, sai? E ho i miei impegni, e ho i miei incarichi perché non li danno mica al primo che passa gli incarichi che ho, e la settimana prossima devo andare a [città a caso] e devo prendere la macchina perché il collega [nome mai sentito prima] non vuole guidare e mi devo rompere a guidare io fino a lì ma tanto poi mi faccio rimborsare, sai, certo che mi pagano la trasferta e me la pagano bene… cos’è non ti fidi? Ti stai di nuovo comportando da paranoicǝ, metti in dubbio la mia parola? Proprio tu che chissà cosa fai tu, tutto il giorno, e io non ti chiedo mai conto e ragione, e arrivo a casa stancǝ e sfinitǝ e invece di trovare ad accogliermi una persona intelligente che mi capisce al volo e mi sorride cosa trovo? Unǝ sfigatǝ che mi mette in croce perché è paranoicǝ!”

A quel punto hai già irrimediabilmente perso il filo, stai annaspando per cercare di ricordare da dove eri partitǝ e ti stai chiedendo come siete arrivatǝ alla conclusione che tu sei paranoicǝ. Questo è solo l’inizio: l’insalata di parole è tutt’altro che dietetica e ripropone un mix delle tattiche preferite di manipolazione del narcisista il quale, adesso che ha la tua attenzione, si produrrà in un’esibizione interminabile e memorabile.

Proverbialmente non ti risparmierà il gaslighting[3] (“non ho mai detto/fatto una cosa del genere, te lo sei inventato, te lo sarai sognato, tu che vivi costantemente nel tuo mondo fatato.”, “fatti vedere da uno bravo, sei fuori di testa, te la prendi per cose che accadono solo nella tua testa, tu che sei tanto intelligente non te ne rendi neanche conto”); ti intimidirà con la deflessione (“E tu invece… [inserisci un qualsiasi evento passato completamente irrilevante in cui hai sbagliato qualcosa]”) e la proiezione (“Sei tu che hai detto/fatto [ti accusa esattamente del suo stesso comportamento]”); ti aggredirà con il ribaltamento della colpa (“Se non ti fossi comportatǝ male, da persona egoista e irrispettosa che sei, io non avrei reagito così. E ringrazia ancora che sono una persona paziente, lo dicono tutti che sono un/ǝ santǝ, un’altra persona al posto mio ti avrebbe già mandato al diavolo a calci!”). Distorcerà le tue parole con generalizzazioni banalizzanti e, in preda all’ira narcisista, inasprirà il confronto investendoti con una raffica di insulti meschini.

In men che non si dica vieni risucchiatǝ nel vortice di discorsi circolari sempre più incalzanti e veementi, nella tua mente le sue parole rimpiazzano le tue, i suoi ragionamenti scalzano i tuoi sempre più sfilacciati, e il dialogo degenera in uno scontro a senso unico il cui unico esito possibile è il tuo silenzio. Non contento, il narcista conclude la sua performance con un’esplosione di sdegno, chiudendo la conversazione senza possibilità di replica e imponendoti un gelido muro di silenzio che per giorni proverai a intaccare porgendo ripetutamente le tue più umili scuse, per ricevere in cambio ulteriore mutismo o abuso.

Con il passare delle settimane e dei mesi, con il susseguirsi di discussioni estenuanti e sterili, con il crescendo cacofonico di aggressioni sempre più maligne che ti portano ad esitare su ogni frase,  gradualmente ti accorgi di non avere più la padronanza delle parole. Più ti sforzi di trovare l’espressione più accurata, i vocaboli più esatti per assicurarti che il tuo messaggio venga recepito, più le vedi cadere inascoltate e travisate. Le analizzi e le soppesi perché sei tu responsabile della tua comunicazione, se non riesci a far breccia è probabilmente perché non ti sai esprimere efficacemente. Con il passare del tempo senti le parole affollarsi in gola e bloccarsi lì. Anche quando vuoi parlarne con una persona amica. La narrazione della relazione con lǝi ti sfugge. L’abuso diventa letteralmente indicibile.

Non è un’impressione. L’abuso narcisistico causa delle modifiche funzionali a livello cerebrale[4]. Oltre alla dissonanza cognitiva, alla sensazione di stare perdendo il contatto con la realtà come accuratamente descritto dalle voci più autorevoli nella ricerca sull’abuso narcisistico (Dr Ramani Durvasula[5] e Shahida Arabi[6], per citarne due tra le più accreditate), non va dimenticato che le vittime frequentemente sviluppano, tra l’altro, una sindrome da stress post-traumatico complesso (C-PTSD)[7] che interessa anche le capacità di linguaggio: anche a distanza di anni, narrare l’orrore vissuto rimane estremamente difficile[8].

Questa stessa difficoltà di esprimersi si presta come un’arma ulteriore per affliggere la vittima con quella che viene comunemente chiamata learned helplessness, l’impotenza appresa (quella che ti fa pensare “è inutile, tanto non ce la farò mai… a farmi le mie ragioni, a mettere i paletti, a lasciarlǝ”). Io preferisco parlare di “taught ineptitude”, inettitudine insegnata, perché nel momento in cui la vittima sconvolta non riesce più ad esprimersi, a trovare un senso logico nelle farneticazioni, il narcisista infierisce imponendo la propria narrativa secondo cui la vittima è incapace anche di comunicare. L’inettitudine instillata la sperimenti anche quando il narcisista ti tortura per le tue debolezze, fragilità, limiti fisici, insinuando la convinzione di essere effettivamente inettǝ. Ed è poi la profezia che si autoavvera: come quando ti ripete ad nauseam che non sai camminare, e ti ritrovi ad inciampare ad ogni passo; o che non sai cucinare, e bruci anche l’acqua della pasta; che non sai ballare, e ti ritrovi ad una festa impalatǝ; ti urla che a letto sei incapace, e cominci ad odiare il tuo corpo.

È così che le parole si congelano da qualche parte tra la mente e la bocca e non riesci neanche a a spiegarlo ai tuoi cari, che capiscono sempre meno e concludono che in fondo non c’è poi nulla di così preoccupante. Gradualmente sei statǝ ridottǝ al silenzio. In realtà non sei tu che hai perso la capacità di interpretare e descrivere la realtà; è il contesto nel quale sei statǝ catapultatǝ che è talmente delirante e incoerente da non essere più descrivibile, dicibile – specie se sei traumatizzatǝ e debilitatǝ.

Ecco perché diventa importante, fondamentale informarsi, documentarsi, munirsi degli strumenti per decodificare la manipolazione, usare le parole di chi ha spezzato l’incantesimo e trovato la chiave per riappropriarsi della narrativa della propria storia. Ed è altrettanto importante, se non fondamentale, che alle vittime in uscita da una relazione d’abuso narcisistico venga dato uno spazio al sicuro e non giudicante in cui poter raccontarsi ancora e ancora, senza sentirsi dire “Ma ancora ci pensi? Non ne parlare più”. Come correttamente osserva Shahida Arabi, la ruminazione mentale e la sovranalisi altro non sono che un effetto della violenza subìta – e, aggiungo io, una componente indispensabile per il processo di recupero dal trauma. La vittima ha necessità di raccontare e ri-raccontare il trauma per poterlo collocare in una narrativa coerente; validare e rispettare questa sua necessità non è soltanto legittimo, ma è la strada per ridurre la dissonanza cognitiva[9].

Nella mia esperienza di uscita da una relazione d’abuso narcisistico è stato determinante imparare le parole per dire l’indicibile, trovare un senso alla mia ordalia e finalmente riappropriarmi della mia storia, riconoscermi la violenza subìta. Scoprire autori come Dr Ramani Durvasula, Shahida Arabi, Patrick Carnes[10], Bessel van Der Kolk[11], e tanti altri è stato vitale. A loro va la mia gratitudine per aver messo a disposizione le loro parole quando le mie erano ancora “troppo gelate per sciogliersi al sole”.

 

Bibliografia e note

 

[1] “Parola” come sineddoche, intesa come comunicazione in senso lato.

[2] Shahida Arabi. (2017). 20 Ways Manipulative Narcissists Silence You, https://www.domesticshelters.org/articles/identifying-abuse/20-diversion-tactics-highly-manipulative-narcissists-sociopaths-and-psychopaths-use-to-silence-you-part-i retrieved on 28/03/2025

[3] Il gaslighting è un argomento piuttosto articolato su cui qui non mi soffermo; per averne un’idea, consiglio vivamente di guardare i due film da cui è tratto il termine: Gaslight, sia l’originale britannico del 1940 che il remake statunitense del 1944 con Ingrid Bergman.

[4] https://psychcentral.com/blog/liberation/2017/10/long-term-narcissistic-abuse-can-cause-brain-damage#1 retrieved on 28/03/2025

[5] Durvasula, R. (2015). Should I Stay or Should I Go: Surviving a Relationship with a Narcissist. Post Hill Press; Durvasula, R. (2024). It’s Not You: Identifying and Healing from Narcissistic People. The Open Field (Penguin Random House).

[6] Arabi, S. (2019). Healing the Adult Children of Narcissists: Essays on The Invisible War Zone and Exercises for Recovery. SCW Archer Publishing;

Arabi, S. (2016). Becoming the Narcissist’s Nightmare: How to Devalue and Discard the Narcissist While Supplying Yourself. Createspace Independent Publishing Platform

[7] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31140886/, retrieved on 28/03/2025; https://cptsdfoundation.org/2022/08/16/narcissistic-abuse-complex-post-traumatic-stress-disorder/ , retrieved on 28/03/2025

[8] https://sites.bu.edu/daniellerousseau/2022/12/14/an-unspeakable-horror/ retrieved on 28/03/2025

[9] https://psychcentral.com/blog/recovering-narcissist/2018/10/gaslighting-survivors-of-narcissists-and-narcissistic-abuse#2-Interrupting-key-features-of-the-healing-process-by-trying-to-get-the-survivor-to-heal-quickly retrieved on 28/03/2025

[10] Patrick J. Carnes. (1997) The Betrayal Bond: Breaking Free of Exploitive Relationships. HCI (HCI)

[11] van der Kolk, B. A. (2014). The body keeps the score: Brain, mind, and body in the healing of trauma. Viking.

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